In occasione del conferimento della Laurea ad honorem in biologia
Roma, 14 ottobre 2006
INTRODUZIONE
E’ stata conferita oggi dal Rettore dell’Università Roma Tre, Prof. Guido Fabiani la Laurea Honoris Causa in Biologia a Sua Santità Tenzin Gyatso XIV Dalai Lama, massimo esponente del buddismo tibetano e capo del governo in esilio del Tibet. Promossa dalla facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Ateneo, la laurea ha come motivazione “l’aver promosso e sostenuto l’istituto Mind and Life, e l’aver promosso in generale il dialogo tra scienza e spiritualità”.
E’ la prima volta che il Dalai Lama riceve l’alto riconoscimento in una disciplina scientifica. “All’origine del conferimento della Laurea Honoris Causa in Biologia – ha sottolineato il Rettore Fabiani – c’è l’interesse che Lei ha dimostrato per la Scienza e le sue applicazioni e, in particolare, il riconoscimento per l’impegno che l’ha distinta a livello internazionale nel contribuire a tenere vivo il dialogo tra Scienza e Spiritualità, tra Scienza e Religione, grazie al Suo essere massima guida religiosa del Buddismo”.
Fin dalla gioventù il Dalai Lama, infatti, ha manifestato un grande interesse per le scienze e le sue connessioni con lo spirito e ha costantemente dedicato l’autorevolezza del suo ruolo alla promozione del più ampio dibattito culturale, soprattutto attraverso l’istituzione di centri per la formazione e la ricerca scientifica. A lui si deve nel 1987 la nascita del Mind and Life Institute con cui ha promosso e sviluppato il dialogo fra la scienza cognitiva occidentale – in particolare la biologia e le neuroscienze – e la spiritualità orientale, non limitandosi al Buddismo tibetano, ma estendendo il dibattito anche ad altre scuole di pensiero.
“I numerosi spunti di riflessione che offre il Buddismo nello studio della mente umana, attraverso la meditazione – ha proseguito il Rettore Fabiani – favoriscono sicuramente l’esplorazione più approfondita del rapporto tra mente e corpo umano. Il Buddismo può aiutare anche gli scienziati di formazione occidentale a comprendere e sviluppare nuove prospettive di ricerca”.
La maggior parte delle attività del Mind and Life Institute, che si svolgono a Dharamsala in India, hanno coinvolto nel corso degli anni molti scienziati di chiara fama tra cui: Arthur Zajonc, Anne Harrington, Paul Eckman, Daniel Goleman, Anton Zeilinger, Steve Chu.
In particolare gli studi incentrati sull’unità mente-cervello hanno condotto a risultati di rilevanza scientifica internazionale.
“La tradizione antica che collabora con la scienza moderna: ecco la mia visione dell’insegnamento e della ricerca”. È un Dalai Lama sorridente, ma anche disorientato e forse infastidito da un eccessivo clamore, quello che si è presenta all’Università di Roma Tre per ricevere la Laurea Honoris Causa in Biologia. Gremita l’Aula Magna. Oltre mille giovani partecipano alla cerimonia (tra loro, ma in minoranza, anche monaci tibetani e fedeli buddisti), e centinaia di studenti, docenti e ricercatori rimasti fuori si devono accontentare dei maxischermi allestiti in alcune aule della facoltà di Lettere.
Accolto con grida e tifo da stadio e decine di fotografi e operatori che non gli lasciavano nemmeno lo spazio per raggiungere la propria postazione da “candidato”, Tenzin Gyatzo, il quattordicesimo Dalai Lama, ha voluto dedicare gran parte della propria lezione magistrale agli studenti e ai giovani, ascoltando a lungo le loro domande. Il sorriso e l’ironia sono quelli di sempre, così come la risata contagiosa. L’ottimismo di fondo, dichiara lui, è intatto.
Si trattava, in effetti, di un’occasione unica nel suo genere: era la prima volta che il Dalai Lama riceveva l’alto riconoscimento in una disciplina scientifica. “All’origine del conferimento della laurea honoris causa in Biologia – ha spiegato il rettore dell’ateneo, Guido Fabiani – c’è l’interesse che lei ha dimostrato per la scienza e le sue applicazioni e, in particolare, il riconoscimento per l’impegno che l’ha distinta a livello internazionale nel contribuire a tenere vivo il dialogo tra scienza e spiritualità, tra scienza e religione. Se quest’uomo non fosse diventato monaco – ha spiegato il rettore – sarebbe diventato un ottimo ingegnere”.
Gli invitati e gli studenti hanno accolto con un lungo applauso la dichiarazione in latino del conferimento del riconoscimento.
Un incontro molto importante e svoltosi in un clima piacevole. Cosi il Dalai Lama Tenzin Gyatso, in visita a Roma, ha definito l’udienza avuta ieri con Papa Benedetto XVI in Vaticano. ”Quello con il nuovo Papa e’ stato un colloquio piacevole e molto importante – ha detto il leader tibetano al quale è stata conferita la Laurea Honoris Causa in Biologia dall’Università Roma Tre – Sono soddisfatto dell’incontro durante il quale abbiamo parlato dell’armonia religiosa e dell’impegno per il dialogo tra le religioni.
LEZIONE MAGISTRALE DI SUA SANTITÀ IL DALAI LAMA
Sono molto onorato di ricevere questa laurea ad honorem in biologia. Certo, tutti sanno che non sono un biologo e che anzi le mie conoscenze in questo campo sono molto limitate. Ma sono convinto che la biologia sia molto importante.
Vedete, io spesso spiego che ci sono delle buone qualità negli esseri umani, quali l’affetto, la compassione, per le quali di fatto credo che il fattore biologico sia il fattore chiave, fin dal momento in cui veniamo al mondo. Credo che l’origine della filosofia sia nella mente, ma, grazie alla biologia ed al fattore biologico, sviluppiamo immediatamente il sentimento della vicinanza verso la mamma. Dipendiamo completamente da nostra madre. Fin tanto che ci porta in grembo ci sentiamo felici e sicuri. ma non appena viene separato dalla madre, il figlio piange.
Ecco, questi sono fattori biologici, perché noi abbiamo bisogno di taluni tipi di emozioni che ci uniscano. Volevo fare una domanda agli scienziati, anzi la faccio adesso, sulle tartarughe o sulle farfalle. Generalmente la loro madre depone le uova e poi le lascia, va via ed i piccoli devono vedersela da soli. Per natura, la madre non ha alcun senso di responsabilità, non si prende in alcun modo cura dei suoi piccoli.
Ecco quindi che i piccoli delle tartarughe o delle farfalle e le rispettive madri, se messi gli uni insieme alle altre, non credo che siano in grado di dimostrare affetto reciproco.
Non lo credo. Invece, in queste specie, nel caso dei mammiferi e degli uccelli, la sopravvivenza dei piccoli dipende completamente dalle cure di altri.
Prendersi cura dei propri piccoli diventa proprio un fattore biologico. Quindi proprio per questo fattore biologico io credo che si vadano sviluppando talune sensazioni emotive positive. E così io spesso mi avvalgo di questo fattore per capire meglio l’importanza della compassione. Mi avvalgo spesso di questo fattore biologico e quindi forse per questo motivo mi merito questa laurea ad honorem… Non saprei, non saprei… (applausi)
Comunque sono estremamente felice del fatto che tutti gli oratori abbiano sottolineato il fatto che questo lavoro non appartiene solo a me, ma è stato svolto da un gruppo di persone di cui fanno parte alcuni scienziati, alcuni buddisti compreso me, naturalmente. A questo studio abbiamo dedicato gli ultimi 20 anni.
Gli obiettivi del nostro lavoro sono due. Il primo è semplicemente quello di ampliare la conoscenza umana in diversi campi. La scienza moderna sembra essere fino a oggi in grado di studiare le cose che si possono calcolare e misurare. La mente e la coscienza non possono essere misurate, ma queste appartengono ad un campo molto diverso.
Ma la mente e la coscienza non si possono misurare. E’ un campo molto diverso, dunque. Nel frattempo, le emozioni sono sempre con noi. Anche gli scienziati fanno esperienze emotive. Quindi, per espandere la conoscenza umana in tutti i campi, ho capito che c’era bisogno di una cooperazione tra la scienza moderna e quello che io chiamerei l’antico pensiero indiano, non solo il buddismo, ma anche l’induismo.
Queste filosofie spesso spiegano la mente e le emozioni e sia l’induismo sia il buddismo hanno, a mio modo di vedere, delle cose in comune, come la pratica dello yoga e la meditazione, che oggi sono diffuse. Ho pensato che queste filosofie sarebbero state utili e che una maggiore interazione avrebbe fatto nascere nuove idee, nuove prospettive. Questo era il primo obiettivo, che rimane ad un livello accademico.
Ma poi c’è un’altra cosa. Nonostante la scienza e la tecnologia siano così progredite, penso che la società umana abbia ancora molti problemi, molti problemi emotivi. Per risolvere questi problemi non ci possiamo affidare ai farmaci o esclusivamente a degli strumenti esterni. Credo che la risposta non sia completa. Molti problemi emotivi non nascono necessariamente da elementi fisici, ma piuttosto nascono nella nostra mente. È l’uomo stesso che ha creato taluni tipi di emozioni. E la soluzione va cercata all’interno di quella stessa sensazione. A volte creiamo delle emozioni particolari.
Per questo l’antica tradizione indiana di conoscenza della mente e delle emozioni può essere utile nel trovare un qualche rimedio ai problemi emotivi.
Poi però se prendiamo questo metodo, le antiche tradizioni religiose, e ne prendiamo solo una citazione, facciamo affidamento su una sola citazione, non è sufficiente.
Dobbiamo esaminare, sperimentare e indagare con metodo scientifico. Io di solito definisco questo metodo come etica laica, che non si basa su un credo religioso o su insegnamenti che si trovano nei libri o vengono impartiti dagli insegnanti, ma piuttosto è una conoscenza che viene dall’indagine, dalla sperimentazione che riguarda gli scienziati.
Allora credo che possa essere più utile per la collettività.
E questo quindi il secondo motivo, per trovare un rimedio per i nostri problemi emotivi attraverso queste tradizioni antiche – con la cooperazione della scienza moderna. Questo è il secondo motivo.
Questa laurea ad honorem credo sia dunque una specie di riconoscimento per il nostro lavoro e in particolar modo questa laurea ad honorem che giunge da un’università che, per quanto mi è dato di capire, non è antica ma che tuttavia per la sua sede, Roma, è il luogo in cui per migliaia di anni il pensiero filosofico era molto avanzato. Possiamo dunque vedere queste mura antiche, questi edifici antichi, che ci ricordano che questo posto è molto antico e ha un patrimonio culturale molto ricco. Beh, penso che questo vi sia stato già insegnato. Quindi mi sento davvero molto onorato nel ricevere questa laurea ad honorem da parte di un’università di Roma. Lo apprezzo molto. Lo apprezzo davvero moltissimo. E poi… E poi non so cos’altro dire! (risate e applausi).
Potrei aggiungere una cosa, nei sistemi di istruzione moderni (e questo non lo penso solo io, ma anche molti amici hanno la stessa opinione sull’educazione moderna, la cosiddetta educazione occidentale), c’è una attenzione quasi esclusiva al cervello e alla conoscenza, ma non si presta abbastanza attenzione all’etica. Quindi vorrei approfittare di questo occasione per chiedervi la cortesia di pensare più a come coltivare “il cuore”, non la preghiera, non necessariamente la meditazione, ma ragionare sulla base delle scoperte scientifiche.
Un cuore più compassionevole e funzioni cerebrali più efficaci: con questi elementi si può vedere la realtà con più chiarezza. Se la nostra mente è troppo agitata, allora non riusciamo a vedere la realtà nel modo giusto. Quindi una mente calma è essenziale per conoscere la realtà. Di solito la chiamiamo oggettività. E’ molto importante.
Per conoscere la realtà, la ricerca obiettiva e imparziale è estremamente essenziale. Questa è una cosa. La seconda è la mente più compassionevole. oggi gli scienziati hanno iniziato a scoprire nuove cose sulla nostra mente: una mente più calma – e credo che questo sia molto importante – aiuta a mantenere il nostro sistema immunitario. Emozioni distruttive come la paura, l’odio, la rabbia, di fatto indeboliscono il nostro sistema immunitario. Quindi anche dal punto di vista della salute la compassione è un elemento molto rilevante. Quindi la compassione non deve essere considerata materia religiosa ma semplicemente come un elemento importante per la felicità della nostra vita. Ecco… (applausi) Ecco, volevo dirvi questo, che di solito chiamo “etica laica”. Laico non significa rifiuto della religione o della fede. Secolare, secondo gli indiani, significa rispettare tutte le religioni e anche rispettare chi non crede. Ma laico secondo il pensiero indiano significa rispetto di tutte le religioni e anche rispetto di coloro che non credono. Tutti devono essere trattati come fratelli e sorelle. Grazie! (applausi). http://www.rainews24.it/ran24/rubriche/incontri/interviste/dalailama_lectio_magistralis.asp
SUA SANTITÀ IL DALAI LAMA RISPONDE ALLE DOMANDE DEGLI STUDENTI
Tanti ragazzi all’incontro con il Dalai Lama. “Dovete trovare le risposte secondo la vostra tradizione. Non tutti i problemi possono essere risolti con la tradizione tibetana”. E’ la frase con cui il Dalai Lama, ospite dell’Università Roma Tre per ricevere una laurea ad honorem in biologia, ha risposto a una domanda sulla possibilità per i giovani di trovare risposte nella tradizione tibetana e buddista. “Non aspettatevi troppo – ha poi aggiunto – se i problemi sono vostri, dovete risolverli da soli”.
Tra le domande degli studenti, molte proprio sull’interesse che il Dalai Lama ha dimostrato nel dialogo tra spiritualità orientale e scienza occidentale: “Se – ha ribadito Sua Santità – nello studiare qualcosa troviamo che c’è ragione o prova di esso, dobbiamo accettare la validità, anche se è in contraddizione con le spiegazioni naturali delle scritture. La didattica moderna – continua, rivolgendosi agli studenti delle facoltà scientifiche – si concentra molto sulla conoscenza, sul cervello, ma trascura l’aspetto etico-morale. Per questo mi sento di lanciare un appello: pensiamo di più, insieme alla parte scientifica, a promuovere l’etica e il cuore. Solo attraverso questa via si può vedere più chiaramente la realtà. Per questo – aggiunge – serve una mente più compassionevole, più calma e con più empatia, elementi fondamentali per una vita felice”.
Temi di stretta attualità, che suscitano spesso lunghi applausi, come quando ad esempio si parla dell’etica laica: “Dobbiamo rispettare tutte le religioni e dobbiamo rispettare anche coloro che non credono. Tra religione e materialismo dovremmo sempre scegliere una terza via: una vita etica, morale, di consapevolezza. E proprio voi giovani potete contribuire a questo”.
Amerigo, studente di Ecologia, chiede al Dalai Lama: “Siamo indotti a pensare che con la morte tutto sarà finito. È vero questo? Ha il buddismo un antidoto a questa nostra convinzione? E questa esperienza è accessibile a noi giovani occidentali?”. La prima risposta, su due piedi, è: “Non lo so”. Scherza il Dalai Lama: la domanda, in effetti, era posta in modo molto complesso, mentre lui ha sempre cercato di utilizzare concetti e parole semplici. Poi si torna sui toni seri e inizia una piccola lezione sull’identità del sé: “Il concetto buddista è che corpo e anima sono collegati. Il corpo cambia durante la vita, ma tra l’io, il corpo e la mente c’è un collegamento molto stretto. La morte – aggiunge – fa parte della nostra vita. Così come tutte le tradizioni che contemplano la vita dopo la vita, il buddismo pensa che ci sia una rinascita. La morte è soltanto un cambiamento del corpo, ma non del sé”. E a chi gli domandava quale fosse la strada per raggiungere la felicità e la pace interiore, la risposta è quella più semplice: “La fede in Dio, chiunque esso sia. La religione allevia la sofferenza e dà speranza”.
“Il buddismo – chiede Elena, studentessa di Cinema – ci insegna che tutti i problemi provengono dalla mente. Nonostante questo, siamo circondati da situazioni esterne come la guerra, la povertà e le discriminazioni sociali, che causano sofferenza. Come possiamo conciliare queste due idee?”. “È vero – risponde il Dalai Lama – tutta la sofferenza proviene dalla mente. Pensiamo ad esempio al terrorismo: questo proviene dall’odio, e il problema si trova nella nostra mente. L’inquinamento, ancora, proviene dal riscaldamento dell’atmosfera, che proviene dall’avidità, anch’essa nella nostra mente. Alla base di tutto questo – continua – vi è l’ignoranza: sviluppiamo il cervello! L’ignoranza si ridurrà e queste sofferenze non si verificheranno più. E poi aggiungo: per odio e avidità l’antidoto è la tolleranza. Cerchiamo di essere più compassionevoli, contribuiremo a ridurre i problemi”.
“Giovani, non aspettatevi troppo”, risponde poi sorridente a Viola, studentessa di lettere, che gli ha posto una domanda sulla possibilità dei giovani occidentali di comprendere profondamente il sé, così come i tibetani: “Non tutti i problemi del male possono essere risolti con la tradizione tibetana. Per questo – continua – ai giovani italiani dico: dovete trovare la risposta ai vostri problemi secondo la vostra tradizione. Cercare altrove non serve”. E poi, scherzando: “Se i problemi sono vostri, ve li dovete risolvere da soli”.
Il momento più commovente della cerimonia è sicuramente l’ultima domanda, quella posta da Diki, una studentessa tibetana che da sei anni vive in Italia. Dopo essersi laureata all’università di Trento con una tesi sui tibetani in esilio, si sta specializzando a Roma sui diritti delle minoranze. Commossa e con la voce che trema, chiede: “La politica del Dalai Lama è quella della non violenza. Pensando al Tibet e alla Cina, che cosa può fare il Dalai Lama per aiutare un popolo oppresso che sta soffrendo?”. Scrosciano gli applausi, tanti in sala espongono bandiere e striscioni inneggianti al Tibet libero dall’oppressione cinese che dura da più di 47 anni e a causa della quale hanno perso la vita oltre un milione di tibetani. Il Dalai Lama, capo del governo tibetano in esilio e premio nobel per la Pace nel 1989, risponde con molta franchezza: “Apprezzo molto la preoccupazione per il destino dei tibetani. La nostra lotta è basata su una rigorosa non violenza e sul pensiero compassionevole, per questo tendiamo a minimizzare i sentimenti negativi nei confronti dei cinesi. Un mio vecchio amico che ha trascorso 18 anni nei gulag cinesi è venuto da me e mi ha detto di aver visto poche occasioni di pericolo. Tra queste, gli ho chiesto, quali? E lui: ‘Il rischio di perdere la compassione verso i cinesi. Vedete – aggiunge – il fondamento del nostro pensiero è di considerarli fratelli, anche se continuano a fare male al nostro popolo, questo è il puro significato della non violenza. Noi i problemi con la Cina vogliamo risolverli, ma per fare questo la Cina ci deve dare autonomia, dobbiamo poter preservare la nostra cultura e la nostra lingua. Se la Cina – conclude – vuole essere una superpotenza rispettata a livello mondiale, basta con le mistificazioni della realtà, gli attacchi alla libertà personale e alla libertà di stampa: la Cina dev’essere ragionevole. E non riusciamo a capire perché, a queste nostre domande, la Cina non risponde in maniera favorevole”.
CONFERENZA STAMPA DI SUA SANTITÀ IL 14° DALAI LAMA
IN OCCASIONE DELLA SUA VISITA A ROMA 13 OTTOBRE 2006
Poche parole d’introduzione: come prima cosa vorrei ringraziare dal profondo del cuore i miei amici di vecchia data ed i miei amici di data più recente che mi hanno invitato qui.
Ieri ho avuto una folta giornata d’incontri, una giornata molto piena d’incontri di grandissimo interesse e di grande utilità e sono molto felice, nel senso che ho avuto l’impressione di trovarmi vicino con tutti.
L’INCONTRO COL PAPA
Oggi è stata una giornata molto importante, nel senso che rispondeva ad uno degli scopi principali della mia visita qui; ho avuto l’incontro con Sua Santità il Papa, in un udienza che si è svolta in un clima molto piacevole, e ne sono molto soddisfatto, perchè lo scopo che mi muove, uno degli scopi principali, è la promozione dell’armonia religiosa.
Anche il predecessore di Benedetto XVI, Giovanni PaoloII, si era impegnato nella promozione del dialogo interreligioso. Questo è uno dei miei impegni principali.
Come negli incontri del passato, ho parlato della promozione dei valori umani, di cui ho parlato qui oggi. E, naturalmente parlando della promozione dei valori umani, ho parlato della necessità della promozione dell’armonia anche sul piano religioso.
Ed ho parlato col Santo Padre anche dell’importanza dell’ambiente. E con questo Papa, così come avvenne col suo predecessore, abbiamo confrontato le nostre idee e ci siamo trovati completamente d’accordo. È stata una visita particolarmente piacevole. Con lui ho anche affrontato i temi della fede e della ragione, della fede che va al di là della semplice ragione. Dall’unione di fede e ragione scaturisce il modo migliore per raggiungere la comprensione. Perché la fede e la ragione insieme portano al risultato più efficace. Ed abbiamo visto, certo, che pur esistendo filosofie diverse, se andiamo a studiarle più nel profundo, vediamo che alla fine sono tutte ispirate agli stessi valori umani: l’amore, l’affetto, la compassione, l’abnegazione, l’autodisciplina. Quindi, hanno un nucleo comune, che è quello poi di arrivare ad una migliore armonia fra gli esseri umani.
Col predecessore dell’attuale Pontefice avevamo in comune un fatto molto importante: l’esperienza comune d’aver vissuto sotto dei regimi comunisti. Io ho vissuto per nove anni dal ‘51 al ‘59 e Giovanni Paolo II per un periodo molto più lungo. Ma, proprio perché condividevamo questa comunanza d’esperienze, questa comprensione molto stretta, questo tema era diventato argomento di molte nostre conversazioni, anche se talvolta mi scopro metà marxista e metà buddhista. I miei amici italiani di lunga data lo sanno bene.
Come vi ho detto, col predecessore di questo Papa discutemmo dell’armonia religiosa, non dimentichiamo l’incontro ad Assisi con tutti i leder religiosi nel 1986. E, come ebbi modo di dire con Benedetto XVI , espressi allora la speranza che non si trattasse d’una singola occasione, ma che fosse l’inizio, e che quest’incontro tra leader di diverse religioni fosse una prassi che venisse regolarmente portata avanti. Ho sollevato quest’aspetto col Santo Padre che ha espresso il suo assenso. Sulla questione del Tibet non c’è stato modo di parlarne perchè l’incontro è stato molto breve ed era la prima volta che c’incontravammo. Inoltre in Cina molti cristiani si trovano di fronte a grosse difficoltà.
Molto spesso sentiamo dire che alcuni esponenti d’una determinata religione che hanno commesso dei gravi errori, anche delle nefandezze, finiscono per essere considerati come gli esponenti di tutta quella comunità religiosa. Ma poche persone che agiscono male, qualunque sia la loro tradizione religiosa, che siano cristiani, ebrei, indù o buddhisti, non possono essere considerati come rappresentanti di quelle comunità. E’ molto sbagliato pensare una cosa del genere.
LA PROMOZIONE DEI VALORI UMANI
Il mio compito consiste nella promozione dei valori umani, intesi come qualità di base della nostra vita e come fonte ultima di una vita felice basato su una comunità felice e su di una famiglia felice e sono anche un elemento di base per poter conseguire una pace duratura, reale nel mondo. Prima di raggiungere la pace nel mondo occorre raggiungere, conseguire una pace interiore. E sono questi i valori umani che ci consentono di raggiungerla: l’amore, la compassione, l’affetto nei confronti degli altri, intesi come fratelli e sorelle. E, insieme, considerato globalmente, questo processo ci consente di giungere alla pace.
La compassione e l’affetto negli esseri umani è un qualcosa che riveste una valenza biologica. E’ come se facesse parte della nostra natura al momento della nostra stessa nascita, come se fosse una caratteristica biologica, perchè ne abbiamo bisogno sul piano biologico. Non sono un esperto di biologia, nonostante la laurea che mi è stata appena conferita all’Università di Roma Tre sia in biologia, il che non mi fa ugualmente diventare uno scienziato. Ma sono convinto che, quanto più siamo animati da questi valori, tanto più il nostro organismo fisico se ne avvantaggi e le cellule stesse se ne giovano. Quindi, l’affetto e la compassione nei confronti degli altri non sono un qualcosa che necessariamente discende da una credenza religiosa. Pur essendo alla base delle principali credenze religiose, può derivare da altre prospettive, dall’atteggiamento delle persone nei confronti degli uni con gli altri.
Quando poniamo l’accento al momento subito dopo la nascita, ai primi minuti dopo la nascita, constatiamo questa sensazione di vicinanza, d’affidamento totale che il neonato sente nei confronti dell’altra persona, che è la madre. Ma non sa ancora che si tratta della madre. Quella d’affidarsi alla madre è una reazione biologica che lo fa sentire tranquillo e felice, al sicuro ed appagato. Lo stesso vale per l’altro soggetto: la madre, che genera questo senso di prendersi cura del figlio.
Ed è così che dobbiamo iniziare la nostra vita, perchè se l’inizieremo con questi sentimenti, allora potremo sopravvivere. Senza queste cure potremmo assistere in poche ore alla morte del neonato. Quindi, oggi vediamo che uno dei fattori centrali per la nostra sopravvivenza consiste fondamentalmente nell’affetto, nel senso di compassione e di cura che abbiamo ricevuto dalla nostra mamma all’atto della nascita. Siamo in presenza d’un episodio d’imprinting che segna la nostra mente, il nostro cuore e le nostre emozioni.
Volevo chiarire questo concetto perché si capisca quanto sia importante promuovere questi sentimenti, che sono alla base, sono al centro delle qualità umane.
La promozione dei valori umani. Che rappresenta infatti il secondo scopo della mia visita.
UNA PIENA AUTONOMIA PER IL TIBET
Inoltre, qui a Roma, ho avuto modo d’incontrare molti amici che da lunga data si sono prodigati per la questione tibetana, il che rappresenta un’occasione per spiegare la situazione attuale della questione tibetana. Come voi sapete il nostro intento già da vari anni non è più quello d’ottenere l’indipendenza, è un dato ormai noto in tutto il mondo. Il Tibet è un paese, una sorta d’enclave che sul piano materiale è arretrato. Quindi i tibetani, il popolo tibetano, desiderano un ammodernamento, desiderano maggiore prosperità, ed il fatto di far parte della Cina potrebbe giovare al popolo tibetano sul piano materiale, sempre che siano pienamente rispettati la cultura, la spiritualità ed i valori tibetani, l’ambiente, che è un ambiente prezioso e molto delicato, ed un’autonomia degna di questo nome, una piena autonomia. La costituzione cinese sancisce l’autonomia, il riconoscimento della Regione Autonoma da un lato e dall’altro anche delle quattro regioni dove vivono dei gruppi etnici tibetani.
Io stesso, strettamente parlando, dal punto di vista cinese, non sono tibetano, perchè vengo dalla regione del Qingai, una delle provincie cinesi dove risiedono i tibetani. Quindi la costituzione cinese riconosce le provincie, i distretti dove risiedono gruppi etnici tibetani. Unautonomia reale sarà la migliore garanzia per poter avere pienamente il rispetto della cultura e della spiritualità del popolo tibetano.
Per quanto concerne lo stato delle nostre relazioni, dei nostri contatti con la Cina, questi sono soggetti ad alti e bassi: ci sono momenti in cui nutriamo maggiori speranze di uno sbocco in senso positivo ed altri in cui ci sembra che ci sia un irrigidimento e quindi un atteggiamento più duro da parte cinese. Ora ci troviamo in una fase d’irrigidimento, con un conseguente atteggiamento duro. Quindi le nostre speranze sono anche puntate anche sulle azioni dei nostri amici che ci hanno sempre aiutato e continueranno ad aiutarci per promuovere la nostra causa.
Ma la questione del Tibet non è tanto la questione del Dalai Lama. E’ la questione dei diritti di sei milioni di tibetani. E, qual’è il miglior modo per conservare la cultura, le tradizioni, il Buddhismo tibetano? Si tratta d’un patrimonio culturale ricchissimo, che rappresenta la forma più completa di Buddhismo, ed è un qualcosa che è patrimonio di tutta l’umanità. Qundi, conservare questi valori, significa conservarli non solo per sei milioni di tibetani ma per milioni di cinesi. Già molti cinesi mostrano di voler aderire al buddhismo tibetano. Se andiamo nel passato, molto indietro nel passato, ci sono stati perfino degli imperatori cinesi che praticavano il buddismo tibetano.
Come sapete, negli ultimi 50-60 anni si è perpetrata un’enorme distruzione da parte dei cinesi a danno dei loro stessi valori, del loro patrimonio, a danno del Confucianesimo. Anche in Tibet si è verificata una distruzione importante di questo patrimonio. Occorre perciò fare il possibile per conservare questo patrimonio culturale e per conservare il buddhismo tibetano, per conservare l’ambiente, che è un qualcosa di molto prezioso e che non è appannnggio solo dei sei milioni di tibetani, ma di miliardi di persone, che in qualche modo sono coinvolti in quelle che sono le condizioni dell’ambiente in tibet.
In Tibet nasce un fiume, l’Indo, che scorre poi in India e Pakistan e che ha un impatto molto importante sulla vita di milioni di persone. Perciò il mio approccio è quello di far sì che ci siano sempre più persone che mostrano solidarietà nei nostri confronti ed ora ci sono esponenti dell’intellighenzia e della cultura cinese, degli scienziati e degli scrittori che mostrano una certa solidarietà nei confronti del mio approccio alle cose. Questo è un po il problema tibetano.
Il Panchen Lama si potrebbe definire il più giovane prigioniero politico. Sono ormai 10 anni che non abbiamo più notizie di lu. E, quando vengono fatte delle richieste ai funzionari cinesi di sapere dove sia, la risposta che otteniamo è solo di tipo filosofico, perchè dicono: “È dov’è”.
Agli inizi degli anni ’80, come voi sapete, fu avanzata una proposta dal governo cinese di un piano in cinque punti, il cui punto centrale era sostanzialmente il mio rientro nel paese.
Ma come voi sapete, abbiamo risposto che non è questo il punto, il punto centrale sono i diritti di sei milioni di tibetani. Questo è il motivo per cui portiamo avanti la nostra lotta e cerchiamo il modo migliore per garantire questi diritti, garantire la conservazione della cultura tibetana, dell’ambiente, della spiritualità, delle tradizioni buddhiste. Il vero e proprio ostacolo è rappresentato dal fatto che i funzionari, i dirigenti cinesi non sanno nulla della nostra tradizione, della lingua tibetana, della cultura tibetana, non conoscono la storia del Tibet, e quindi vedono le cose in un’ottica distorta secondo delle informazioni che non sono quelle giuste. Sulla questione del mio ritorno, qual’è il problema? Non appena da parte di Pechino dovesse emergere una chiara indicazione che il governo centrale inizia seriamente ad affrontare i probelemi dei diritti del mio popolo e della conservazione della nostra religione e cultura, io sono pronto a ritornare. Sarà quello il momento del mio ritorno.
Sostanzialmente lo scopo principale della mia visita qui è stato l’incontro con Sua Santità il Santo Padre. Se questa evenienza non si fosse realizzata, ebbene, ne sarei stato molto rattristato. Ma la mia visita non aveva un agenda, un programma d’un certo tipo da discutere col Governo Italiano. Cerco sempre d’evitare problemi a chichessia.
Ritengo che, in ultima analisi, l’intero globo debba essere smilitarizzato. Questo è il mio sogno, la mia visione, ma non sarà un evento che si realizzarà nel corso della mia vita, e forse neanche nel corso della vita di questi giovani che sono qui davanti a me. Ma dobbiamo sempre avere una visione che si proietta nel futuro, anche in un futuro lontano.
É vero, bisogna andare passo per passo nelle realizzazioni. Quindi, un primo passo potrebbe consistere in un divieto totale delle armi nucleari, seguito dal bando delle armi biologiche, quindi da quello delle armi d’offersa. Altra possibilità è quella di formare delle forze formate da eserciti di diversi paesi, in modo che questa rappresenti la migliore garanzia affinchè questi non lottino gli uni contro gli altri.
Sulla questione dei diritti umani penso che in molti casi numerose delegazioni appartenenti al mondo libero, abbiano sollevato il problema. É importante che vengano avanzate queste questioni ma, forse, è di molto peso che lo si faccia con grande rilevanza, a prescindere dalla risposta insoddisfacente che si ottiene.